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In questi giorni si è frequentemente discusso dell’opportunità di emettere Eurobond, detti Covidbond, per finanziarie le ingenti spese pubbliche conseguenti al diffondersi della recente emergenza sanitaria. I Covidbond sono una sorta di titoli di Stato europei, garantiti e rimborsati da un budget comune europeo.
Spesso le discussioni su questi strumenti hanno un approccio ideologizzato e talvolta caratterizzato da toni nazionalistici. L’obiettivo di questo articolo è far chiarezza sul tema cercando altresì di rispondere in modo chiaro, tecnicamente rigoroso ed equilibrato agli interrogativi più frequenti.
Quali sono le strategie di politica economica che è possibile porre in essere per sostenere la crisi economica?
Esistono due distinte azioni di politica economica per sostenere l’economia: le politiche monetarie e quelle fiscali.
Le politiche monetarie sono attuate dalle autorità monetarie (in Europa la BCE) e generalmente consistono in un abbassamento dei tassi di interesse e/o in un incremento diretto della quantità di moneta presente sul mercato al fine di sostenere la crescita economica.
Le politiche fiscali di sostegno all’economia vengono poste in essere dagli Stati e consistono in un abbassamento della tassazione o in un incremento della spesa pubblica per finanziarie i servizi o i sussidi statali a cittadini ed imprese.
In queste settimane l’Europa ha fatto qualcosa a sostegno dell’economia e dell’Italia?
Non è possibile affermare che l’Unione Europea sia stata nel tutto inerme nella prima fase della crisi economica collegata al coronavirus. La BCE, dopo qualche iniziale tentennamento, ha varato un enorme piano di acquisto di titoli denominato PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) per un ammontare di 750 miliardi di euro. Di fatto la Banca Centrale Europea si è impegnata ad acquistare una grande quantità di titoli internazionali e sovranazionali: ciò sta favorendo la liquidità presente nel sistema finanziario ed un abbassamento dei tassi di interesse per tutti quei paesi che hanno necessità di incrementare i debiti. L’Italia, grazie a tale programma, sta usufruendo di un cospicuo sostegno monetario in assenza del quale il ricorso al debito sarebbe diventato molto più complesso ed oneroso a causa del potenziale incremento dello spread.
È sufficiente l’intervento posto in essere dall’Europa?
L’intensità e la rapidità della crisi economica che si sta delineando fa ritenere alla maggior parte degli economisti che la politica monetaria non sarà sufficiente per contrastare la forte recessione economica. La crisi attuale dovrà essere affrontata con interventi più incisivi di politica fiscale (sussidi a chi è in difficoltà e spesa pubblica per finanziare i costi sanitari) rispetto a quanto è stato fatto nella precedente grande crisi del 2008-10. Probabilmente ciò peserà in misura notevole sui bilanci statali, soprattutto degli Stati che partono da situazioni di deficit e debito pubblico elevato.
L’Italia può farcela da sola?
Se la crisi dovesse rivelarsi particolarmente lunga e profonda, l’Italia potrebbe essere uno di quei paesi con maggiore difficoltà a reperire le risorse necessarie per finanziare la spesa pubblica. Un forte incremento del debito potrebbe spingere gli investitori a concedere una fiducia sempre minore al nostro paese al crescere dell’indebitamento: per l’Italia diventerebbe complesso ed assai oneroso accedere ai mercati per finanziare la spesa pubblica aggiuntiva ed il rinnovo dei prestiti in scadenza. Un ulteriore sostegno europeo potrebbe essere assai utile o diventare addirittura indispensabile.
In quali forme potrebbe concretizzarsi il sostegno economico da parte dell’Unione Europea?
A livello europeo è già prevista una forma di sostegno ai paesi in difficoltà finanziaria che prende il nome di MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), ovvero un trattato intergovernativo, esterno al Trattato sul funzionamento dell’Ue, che può fornire aiuto sotto forma di prestiti a singoli Paesi in difficolta finanziaria. Il Paese richiedente aiuto dovrà però rispettare precise condizioni e dimostrare di porre in essere tutte quelle politiche in grado di rendere sostenibile il rimborso dei prestiti ricevuti. Tale forma di sostegno non è gradita all’Italia sulla base del timore che le condizioni alle quali è soggetto il prestito possano limitare i futuri margini di politica economica del nostro paese e quindi la sua sovranità.
Una soluzione alternativa è rappresentata dall’emissione di Eurobond, una sorta di titoli di Stato europei, che per l’occasione sarebbero denominati Covidbond, ovvero titoli sovranazionali garantiti da tutti gli Stati europei e rimborsati da un budget comune europeo. Ciò consentirebbe ai Paesi come il nostro di finanziare la spesa pubblica in maniera più facile ed economica. Infatti, la restituzione degli Eurobond sarebbe garantita solidalmente da tutti paesi europei e ciò renderebbe appetibili ed assai sicuri questi titoli.
Perché alcuni paesi europei sono ostili all’ipotesi dei Coronabond?
Al di là di questioni tecnico-normative circa la impossibilità di emettere Eurobond senza modifiche alla legislazione vigente (nessuna istituzione europea può emettere bond), alcuni Stati europei sono fortemente contrari alla loro emissione. I Paesi più rigoristi (Paesi Bassi e Germania in testa) avversano tale ipotesi nel timore che tale mutualizzazione dei debiti potrebbe portare una duplice conseguenza. Innanzitutto, i Paesi che nel passato hanno dimostrato meno rigore nella gestione dei bilanci pubblici sarebbero spinti a compiere minori sforzi di contenimento della spesa pubblica negli anni a venire. In secondo luogo, nel malaugurato caso di una loro insolvenza, i Paesi più solidi potrebbero essere costretti a far fronte al pagamento di debiti altrui. Circostanza, quest’ultima, che rappresenterebbe una possibile arma di ricatto da parte dei Paesi con maggiore propensione alla spesa nei confronti di quelli più solidi.
Quali possibilità di uscita?
È probabile che la soluzione venga trovata attraverso un compromesso fra le due ipotesi: ad esempio l’erogazione di prestiti attraverso il MES con condizionamenti limitati; oppure l’emissione, da parte della Banca Europea degli Investimenti, che ha come azionisti i 27 Stati membri dell’UE, di prestiti vincolati a precise finalità collegate all’emergenza sanitaria, emessi dai singoli Stati ed acquistati direttamente dalla BCE.
Qualunque sia la soluzione, più o meno creativa, che sarà trovata, sembra certo che sia nell’interesse di tutti i Paesi, anche di quelli più solidi, evitare il tracollo degli altri: in un sistema economico sempre più integrato, le filiere produttive sono fortemente interconnesse ed i paesi vicini rappresentano importanti mercati di sbocco dei propri prodotti. La forte crisi di uno potrebbe avere dei costi economicamente enormi anche per gli altri. I cittadini ed i governanti europei saranno in grado di percepire tale rischio?
In che modo le prossime scelte politiche ed economiche influiranno sul futuro dell’Unione?
Di fatto questa crisi è per l’Europa un’importante occasione per riflettere sulla necessità di una maggiore condivisione non solo delle politiche monetarie ma anche di quelle fiscali. Occorre ripensare al modo di gestire i bilanci dell’Unione e le politiche di coordinamento fiscale. Ma questa crisi è anche l’opportunità per un cambiamento di prospettiva culturale: occorre passare da un’unione di reciproche convenienze, nella quale ognuno persegue e massimizza i propri interessi nazionali coordinando politiche monetarie e commerciali, ad un’unione che ponga al centro gli interessi collettivi e la solidarietà verso coloro che hanno più bisogno. Ci accorgeremo, come auspicato anche da Papa Francesco, che “non possiamo andare avanti ognuno per conto suo, ma solo insieme”? È questa la vera sfida che i cittadini ed i governanti europei devono vincere per non far morire di Coronavirus il più ambizioso e bel progetto politico dell’ultimo secolo.

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