In settimana l’Istat ha pubblicato tre dati essenziali per monitorare la salute dell’economia italiana: l’andamento del PIL, dell’occupazione e dell’inflazione. Il PIL è la principale misura dell’attività economica svolta in un Paese, il livello di occupazione indica il numero di persone che svolgono attività lavorativa e l’inflazione misura l’aumento nel tempo dei prezzi. Il primo è un indicatore del livello di reddito, il secondo di quante persone possono godere di un’occupazione, il terzo del potere di acquisto della moneta. Tutti e tre insieme ci aiutano a capire come l’andamento del sistema economico incide sul benessere collettivo e individuale. Infatti, è certamente desiderabile che a lavorare siano in molti, che il reddito sia il più elevato possibile e che la moneta con la quale veniamo pagati e spendiamo per acquistare beni e servizi non perda eccessivamente valore nel tempo. Come stanno evolvendo in Italia questi tre fondamentali indicatori della salute dell’economia?
Variazioni tendenziali e congiunturali
Per interpretare al meglio i dati forniti dall’Istat, è opportuno comprendere la differenza fra le variazioni congiunturali e tendenziali. Le variazioni congiunturali, solitamente espresse in percentuale, indicano la variazione rispetto al trimestre/mese precedente, mentre le variazioni tendenziali esprimono la differenza rispetto allo stesso trimestre/mese dell’anno precedente. Ad esempio, parlando di PIL, se la variazione congiunturale trimestrale a giugno di un dato anno fosse del -0,2% e quella tendenziale dell’1%, vorrebbe dire che rispetto al trimestre immediatamente precedente (gennaio-marzo) il PIL è diminuito dello 0,2%, mentre rispetto a giugno dell’anno precedente è cresciuto dell’1%. I due valori, messi insieme, ci possono aiutare a comprendere meglio l’evoluzione del dato e sono utili per capire le dinamiche di breve e di medio periodo del PIL: un tendenziale positivo, come nell’esempio innanzi, ci potrebbe descrive una crescita moderata nel medio periodo, ma una variazione congiunturale negativa una debolezza nel breve con l’economia che rallenta
Andamento del PIL
Secondo le stime preliminari del Pil appena pubblicate, la crescita economica italiana è risultata nulla nel terzo trimestre del 2023 dopo il lieve calo fatto registrare nel secondo trimestre dell’anno. Anche la dinamica tendenziale risulta nulla, interrompendo una crescita che durava da dieci trimestri consecutivi. La crescita acquisita del Pil si assesta allo 0,7%, valore uguale a quello fatto registrare nel secondo trimestre dell’anno. Il grafico sotto, evidenzia l’andamento del Pil italiano dal 2011. Da esso si può osservare come l’economia italiana, alla fine del 2019, aveva appena recuperato i livelli successivi alla crisi del 2008-2009 quando è arrivato il Covid, livelli che dopo il repentino ribasso del 2020 sono stati superati ad inizio 2022 per rimanere stabili negli ultimi due trimestri. Al di là dei dati più recenti, ciò che più preoccupa nell’economia italiana è la mancanza di crescita strutturale nel lungo termine, dato che a distanza di 15 anni non abbiamo ancora raggiunto i livelli di Pil reale di inizio 2008.
Andamento dell’occupazione
A settembre l’occupazione continua a crescere con 42.000 lavoratori in più rispetto al mese precedente tra dipendenti ed autonomi. Il numero di occupati in Italia si attesta complessivamente a 23.656.000 unità, con un aumento rispetto a settembre 2022 di 443.000 dipendenti permanenti e 115.000 autonomi, mentre cala il numero dei dipendenti a termine di 47.000 unità. Su base mensile, crescono sia il tasso di occupazione che quello di disoccupazione, rispettivamente al 61,7% ed al 7,4%; si tratta di dati che possono sembrare contraddittori, ma sono collegati al fatto che è sceso al 33,2% il tasso di inattività, ovvero la percentuale di individui che non sono occupati e non cercano lavoro. I grafici sotto illustrano le tendenze di lungo periodo degli occupati, dei disoccupati e degli inattivi, con dati confortanti negli ultimi trimestri. L’apparente contrasto fra il dato del Pil che rallenta e quello dell’occupazione che cresce sono legati al consueto ritardo con il quale l’occupazione tende a seguire le variazioni del PIL, sia in caso di rialzo che di ribasso. Se la tendenza alla riduzione del PIL dovesse proseguire a lungo, è probabile che anche la crescita dell’occupazione si arresterà nei prossimi trimestri.
Andamento dell’inflazione
Secondo le stime preliminari, in Italia ad ottobre l’inflazione evidenzia un netto calo, scendendo a +1,8%, dato che non si registrava da luglio 2021 (+1,9%). La drastica discesa del tasso di inflazione si deve in gran parte all’andamento dei prezzi dei beni energetici, in decisa decelerazione a causa dell’effetto statistico tendenziale derivante dal confronto con ottobre 2022 quando si registrarono forti aumenti dei prezzi dell’energia. Un contributo al ridimensionamento dell’inflazione si deve inoltre alla dinamica dei prezzi dei beni alimentari, il cui tasso tendenziale scende al +6,5%. Il primo grafico sotto illustra l’andamento dell’indice dei prezzi al consumo a partire dal 2018, sia per le variazioni congiunturali che per quelle tendenziali, ed è utile per analizzare la tendenza di lungo periodo. Infine, come si può notare dal grafico più in basso, l’inflazione di fondo (quella che esclude dal calcolo i beni con prezzi meno stabili come quelli energetici ed alimentari) ad ottobre resta elevata e si attesta al +4,2%: questo induce a ritenere non ancora vinta la guerra contro la crescita dei prezzi e che ci vorranno probabilmente ancora diversi mesi per riportare l’inflazione stabilmente vicino all’obiettivo del 2%.
Considerazioni finali.
Il quadro dell’economia italiana che emerge dai recenti dati Istat è quello di un Paese alle prese con un’inflazione in calo, ma ancora elevata. La crescita economica rallenta, ulteriormente indebolita dall’elevato livello dei tassi. Fortunatamente l’occupazione cresce, soprattutto quella più stabile. Ma al di là dei dati attuali, ad essere prioritaria è la crescita di lungo periodo dell’economia italiana che è stata troppo lenta, anzi di fatto quasi nulla negli ultimi 20 anni. I capitali provenienti dall’Europa e collegati al PNNR rappresentano un’incredibile occasione di rilancio della crescita e della produttività, che secondo molti economisti stiamo parzialmente sprecando, soprattutto per quanto riguarda le riforme strutturali finalizzate ad incrementare l’efficienza del nostro sistema produttivo e della pubblica amministrazione. Abbiamo innanzi a noi ancora qualche anno per utilizzare al meglio i fondi che ci vengono forniti per incrementare al nostra capacità futura di produrre crescita e redditi più alti. Sarà questo l’unico modo per rendere sostenibile il debito pubblico italiano, che continua ad aumentare e sarà appesantito dalla quota di fondi europei che, non essendo a fondo perduto, andranno comunque restituiti anche se non spesi in modo proficuo.

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