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Continua a salire l’inflazione anche in Italia, raggiungendo a marzo un livello (+6,7%) che non si registrava da luglio 1991. Anche questo mese sono i prezzi dei beni energetici a sostenere l’ulteriore ascesa, ma tensioni inflazionistiche continuano a diffondersi con la crescita dei prezzi del cosiddetto “carrello della spesa” che accelera di quasi un punto percentuale, portandosi a +5%. I principali quesiti che si pongono in questo scenario sono legati a quanto sarà transitorio questo fenomeno e a come proteggere al meglio i propri risparmi in questo contesto. Cerchiamo di dare una risposta ad entrambi.
È bene subito chiarire che, secondo la maggior parte degli economisti, è meglio mettersi il cuore in pace e rassegnarsi al fatto che, sebbene la crescita così repentina del livello dei prezzi abbia molti elementi transitori, vi sono fattori più strutturali destinati a perdurare. Dunque, se è molto probabile che il costo della vita calerà rispetto ai picchi attuali, quasi nessuno ritiene che torneremo ai livelli di mini-inflazione sperimentati negli anni che hanno preceduto il Covid (si veda il grafico sotto che riporta l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività – NIC). Quali i motivi?
Il balzo dei prezzi attuale è in gran parte causato dal rincaro dei beni energetici (per circa due terzi) ed in misura minore ma rilevante dalla componente alimentare, gravata indirettamente dai maggiori costi dell’energia e dei fertilizzanti. Secondo le previsioni più diffuse, l’impatto della repentina crescita dei prezzi energetici è destinato ad attenuarsi nei prossimi mesi. Ciò avrà un impatto positivo sulla riduzione dell’inflazione, ma vi sono alcuni elementi strutturali che permarranno a lungo e che sosterranno in futuro il livello dei prezzi: la de-globalizzazione e la transizione energetica.
Innanzitutto la de-globalizzazione. È ormai evidente che le tensioni geo-politiche internazionali stanno spingendo la maggior parte degli Stati a riacquisire autonomia produttiva in molti settori ritenuti strategici come l’energia, i semiconduttori, i prodotti farmaceutici. Questa sorta di rimpatrio delle produzioni avrà un probabile impatto sui prezzi, in quanto è inevitabile che si possa perdere, almeno nei primi anni, efficienza produttiva.
Vi è poi la transizione energetica. Il tentativo da parte dei paesi sviluppati di diversificare le fonti di produzione energetica, connessa all’indipendenza energetica ma anche agli obiettivi di riduzione dell’inquinamento, da un lato accelererà la produzione di energia da fonti “pulite”, ma dall’altro comporterà nei prossimi anni un incremento dei costi di produzione (l’energia pulita è ancora mediamente più costosa di quella inquinante). Tutto ciò finirà per impattare sul livello finale dei prezzi.
Come dovrebbero comportarsi i risparmiatori in questo contesto? Come spesso accade l’istinto spinge a fare scelte non sempre adeguate. L’incremento dell’incertezza economica ha spinto negli ultimi anni ad un incremento della quota di liquidità accumulata sui conti correnti. Se è comprensibile incrementare tale liquidità in fasi di instabilità, occorre essere consapevoli che un suo eccesso distrugge valore nel medio periodo creando inconsapevolmente danni enormi al proprio patrimonio. La tabella sotto evidenzia l’impatto dell’inflazione sul capitale nell’arco di 5 anni.
Che fare allora? Lo scenario di inflazione in aumento e crescita economica in diminuzione è fra quelli più sfidanti per gli investitori. Come detto innanzi, certamente occorre mantenere in portafoglio una adeguata liquidità, ma occorre anche limitare la quantità di obbligazioni e titoli di stato a lungo termine. Infatti, livelli di inflazione più elevata spingono verso l’alto i livelli dei tassi di interesse, determinando una perdita di valore delle obbligazioni a lungo termine (ad esempio, come si può vedere dal grafico sotto, nell’ultimo anno un BTP a 10 anni ha perso circa l’11% del proprio valore e poco in più dai massimi di inizio settembre 2021). Chi volesse approfondire il tema può leggere il mio articolo del 25 settembre 2021: “Investire in obbligazioni: perché non dovresti sottovalutare il rischio tassi”.
Dunque, meglio puntare sulle obbligazioni a tasso variabile o con durate più contenute, diversificare una piccola parte del patrimonio in beni reali come l’oro o avvicinarsi al mercato azionario, magari a piccoli passi per ridurre la volatilità del proprio portafoglio, evitando di sovrappesare i settori che sono più sensibili ai tassi di interesse. Ma al di là delle scelte individuali da approfondire con il proprio consulente, è fondamentale ricordare sempre che i mercati sono altamente imprevedibili e la diversificazione è la regola chiave per proteggere davvero nel lungo termine il proprio patrimonio.

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