Seleziona una pagina

Il recovery fund è il fondo più nominato delle ultime settimane. Ne parlano giornali e televisione da mesi, negli ultimi giorni in maniera addirittura ossessivaProviamo a fare un po’ di chiarezza su cosa è, come funziona e perché è così importante.

Cosa è il recovery fund, a quanto ammonta e come è finanziato?

Il recovery fund è un fondo finalizzato a sostenere la ripresa economica in Europa dopo la forte crisi innescata dalla pandemia da Covid-19. Gli Stati membri dell’Unione Europea potranno beneficiare della ragguardevole somma di 750 miliardi di euro che verrà suddivisa in due modi:

–       390 miliardi come sovvenzioni a fondo perduto (che quindi non dovranno essere restituiti);

–       360 miliardi come prestiti (che quindi dovranno essere restituiti all’Ue).

I soldi saranno reperiti tramite prestiti sui mercati finanziari garantiti dal bilancio dell’Unione Europea. Si tratta di una svolta epocale per l’UE che ha per la prima volta sperimentato una sorta di condivisione del debito, una cosa inimmaginabile solo un anno fa.

Quale ammontare del fondo spetta all’Italia? Quando arriveranno i fondi?

L’Italia sarà il Paese che beneficerà in misura maggiore del recovery fund in quanto ad essa andranno circa 209 miliardi di euro (quasi il 28% dell’ammontare destinato ai 27 paesi membri dell’UE). Di questi 209 miliardi:

–       81,4 miliardi come trasferimenti a fondo perduto (che dunque non dovranno essere restituiti);

–       127,4 miliardi sotto forma di prestiti (che andranno invece restituiti).

I fondi arriveranno a partire dal 2021 (probabilmente entro la fine del secondo trimestre) fino al 2026. Nel periodo 2021-2023 arriveranno prevalentemente i trasferimenti a fondo perduto, mentre nel periodo 2024-2026 arriveranno prevalentemente i prestiti concessi.

Come dovranno essere spesi i soldi e quando dovranno essere restituiti?

A tutti gli Stati beneficiari del recovery fund è stato chiesto di redigere un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), nel quale dettagliare i programmi di spesa. Essi dovranno comunque essere orientati prioritariamente verso 6 aree di intervento, che si ritiene potranno avere un maggiore impatto sulla crescita economica e l’occupazione nel medio periodo. In dettaglio:

· digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura;

· rivoluzione verde e transizione ecologica;

· infrastrutture per una mobilità sostenibile;

· istruzione e ricerca;

· inclusione e coesione;

· salute.

I piani dovranno essere valutati dalla Commissione europea (l’esecutivo comunitario) e poi approvati dal Consiglio europeo (composto dai capi di Stato e di Governo dei vari Paesi) che li dovrà approvare a maggioranza qualificata su proposta della stessa Commissione europea.

La restituzione dei fondi ricevuti a titolo di prestito avverrà a partire dal 2028, così da consentire alle spese finanziate con il recovery fund di iniziare a dare i loro benefici all’economia e conseguentemente agevolarne la restituzione. Per gli Stati beneficiari, il nostro in primis, si prospetta la grande sfida di spendere in maniera efficace ed efficiente l’enorme quantità di denaro in arrivo. Inoltre, occorrerà decidere come distribuire tra sussidi ed investimenti i fondi che arriveranno: i sussidi aiutano chi oggi si trova in difficoltà, gli investimenti invece rafforzano la futura capacità di reddito e resilienza. Occorrerà dosare con equilibrio l’esigenza di ristori di chi è stato colpito gravemente dalla pandemia con quella di porre le basi per un incremento stabile della crescita economica futura.

Quali le opportunità ed i rischi del recovery fund?

Il recovery fund è senz’altro la più grande opportunità di rilancio dell’economia italiana dalla fine della Seconda guerra mondiale. Negli ultimi decenni il nostro Paese ha visto ridursi, indipendentemente dalla fase del ciclo economico, la sua capacità di crescita (gli economisti parlerebbero di capacità di crescita del Pil potenziale) con conseguente progressivo impoverimento dei cittadini e dello Stato. Oggi si prospetta una possibilità di spesa che sarebbe stata incompatibile con la precaria situazione del bilancio pubblico italiano che, se ben sfruttata, potrebbe ridare efficienza al nostro sistema economico.

Ma occorre sottolineare anche i rischi che sono all’orizzonte. Al netto dei trasferimenti che non dovranno essere restituiti, lo Stato italiano vedrà crescere il suo già enorme debito pubblico di ulteriori 127 miliardi di euro, che sommati agli attuali innalzeranno in maniera consistente la quota di debito che andrà poi restituita fra qualche anno. Dunque, se l’Italia non sarà in grado di spendere questi fondi in maniera così efficace da ricostruire stabilmente una maggiore capacità di reddito futura, allora quella che adesso appare un’opportunità storica potrebbe rappresentare l’inizio della catastrofe. Per fare una similitudine, si pensi ad un’impresa in difficoltà che riesce a ricevere un enorme finanziamento che dovrà iniziare a restituire progressivamente dopo qualche anno. Se i soldi presi a prestito consentiranno di migliorare in modo considerevole la produttività aziendale, le condizioni dei lavoratori e la capacità di produrre reddito, allora quell’azienda in futuro sarà in grado sostenere il rimborso del prestito, incrementare i propri utili e migliorare le condizioni di chi vi gravita intorno (soci, dipendenti, clienti e fornitori). Se tutto ciò non accadrà, il nuovo debito accumulato ed i conseguenti impegni di rimborso la porteranno inevitabilmente al fallimento. Una grande sfida epocale è innanzi a noi, dovremo fare di tutto per riuscire a vincerla!