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I mercati non salgono o scendono in modo lineare. La volatilità, ovvero l’oscillazione dei prezzi degli strumenti finanziari, è parte integrante di ogni investimento. Occorre essere preparati ad affrontarla quando questa dovesse essere più intensa, come in questi giorni di crisi bellica, rimanendo concentrati sugli obiettivi di investimento a lungo termine, ma occorre anche costruire portafogli che siano in grado di ridurre per quanto possibile questo fenomeno. Infatti, l’oscillazione del valore complessivo del proprio portafoglio è psicologicamente poco gradita dagli investitori e può rappresentare un problema nel caso in cui si dovesse avere la necessità di liquidare anticipatamente i risparmi investiti. Ecco perché, a parità di rendimento atteso, un portafoglio più stabile è certamente preferibile ad uno più volatile. Ma come si può misurare la volatilità del portafoglio e soprattutto come è possibile ridurla al minimo?
La volatilità di portafoglio può essere misurata attraverso differenti indicatori. Uno dei più utilizzati è la deviazione standard. Questo indicatore statistico rappresenta una misura della dispersione dei rendimenti rispetto alla loro media. Quanto più è alto questo valore tanto maggiore è il livello di oscillazione, in positivo o in negativo, dei rendimenti effettivi, ovvero la volatilità del proprio portafoglio. Attribuire un valore preciso alla volatilità è fondamentale per due motivi:
- rende possibile capire se il livello misurato è compatibile con il nostro orizzonte temporale, ovvero se le correzioni di mercato possono essere ragionevolmente recuperate nel nostro orizzonte di riferimento;
- ci dà una misura della variabilità dei rendimenti attesa, in modo da poter valutare se essa è psicologicamente accettabile in base alla nostra propensione al rischio.
Oltre a misurare la volatilità del portafoglio, quello che interessa maggiormente agli investitori è ridurre al minimo la variabilità dei risultati a parità di rendimento atteso. Come è possibile raggiungere questo obiettivo? Se il primo passo consiste nel detenere portafogli diversificati, ciò non è abbastanza. Infatti, distribuire i propri risparmi fra titoli differenti aiuta a ridurre i rischi legati specificamente a ciascuno di essi, ma non sempre ciò è sufficiente a stabilizzare l’andamento del portafoglio nel corso del tempo.
Innanzitutto, è bene ricordare che esistono diverse modalità di diversificazione del proprio portafoglio per ridurre il rischio: per tipologia di titoli (titoli di Stato, obbligazioni di società private, azioni, materie prime, ecc.), per aree geografiche (USA, Europa, Asia, ecc.), per settori (industriale, tecnologico, farmaceutico, ecc.). Non sempre questa diversificazione è sufficiente a ridurre al minimo la volatilità complessiva quando non è fatta in maniera adeguata. Esiste un indicatore in grado di farci capire se la diversificazione effettuata è realmente efficace o soltanto “apparente”, ovvero non in grado di ridurre realmente la volatilità del nostro portafoglio. Questo indicatore prende il nome di coefficiente di correlazione ed è in grado di esprimere, attraverso un numero, in che misura due titoli tendono a muoversi in direzione identica o opposta. Infatti, il coefficiente di correlazione può assumere valori che vanno da -1 ad +1. Quando esso assume il valore di -1 significa che due titoli si muovono in direzioni diametralmente opposte: ad esempio quando uno scende del 5% l’altro sale del 5% e viceversa. Al contrario, un valore del coefficiente pari a +1 indica una perfetta coincidenza della direzione e dell’intensità della variazione di due titoli: quando uno scende del 5% anche l’altro scende del 5% e viceversa. Nel costruire un portafoglio adeguatamente diversificato ed in grado di ridurre la volatilità occorre selezionare titoli con coefficienti di correlazione quanto più possibile vicino a -1.
Il grafico sotto illustra, a titolo di esempio, l’andamento negli ultimi 5 anni due tipologie di investimenti quali l’oro e le borse europee. Come è possibile notare, l’oro e l’indice delle borse europee tendono a muoversi in direzione opposta. Pertanto, un portafoglio costituito da entrambe le attività tenderà ad avere performance complessive più stabili nel tempo.
Sfortunatamente la realtà è molto più complessa. Infatti, poiché portafogli adeguatamente diversificati contengono diverse tipologie di attività finanziaria e decine di titoli, occorre considerare congiuntamente l’effetto della variazione dei singoli titoli con tutti gli altri al fine di minimizzare la volatilità complessiva di portafoglio. È un calcolo complesso che i moderni computer consentono di effettuare rapidamente, suscitando l’invidia degli studenti di statistica e di economia del secolo scorso. Il vostro consulente dovrebbe essere in grado di misurare e monitorare la volatilità del portafoglio e cercare di renderla il più contenuta possibile a parità di rendimento atteso. In questo modo è possibile trasformare una diversificazione ingenua in una più efficace.
Per chi non può avvalersi di un consulente dedicato, può optare per diversificazioni di portafoglio come quella che segue, nota come “portafoglio permanete”, che si caratterizza per l’estrema semplicità. Essa consiglia di suddividere il portafoglio in quattro tipologie di strumenti finanziari: azioni, obbligazioni a medio-lungo termine, obbligazioni a breve termine, oro (si veda la figura sotto). Ognuna di essa tende ad essere favorita in un diverso contesto economico-finanziario e questo dovrebbe attenuare le oscillazioni del suo valore. Ovviamente occorre ribilanciare il portafoglio con una frequenza variabile, ma almeno annuale, per riportare le varie asset class al peso originario quando le variazioni dei prezzi di mercato ne modificano la percentuale originaria.
Qualunque sia il livello di sofisticazione scelto, è sempre bene ricordare che anche i calcoli più eleborati restano un vuoto esercizio di stile se non sono preceduti da fasi ancora più importanti del processo di investimento, quali un’adeguata pianificazione finanziaria volta alla determinazione dei propri obiettivi e dell’orizzonte temporale entro nel quale realizzarli, nonché una valutazione equilibrata della propria propensione al rischio, evitando che essa possa essere influenzata dalle fasi contingenti di mercato. Soprattutto, è bene ricordare che l’investimento è un processo dinamico che richiede di rispondere costantemente a nuove domande sui propri progetti di vita e sulle mutevoli condizioni del contesto economico-finanziario nel quale ci si muove e che, come diceva John Templeton, “l’investitore saggio riconosce che il successo è il processo di cercare continuamente risposte a nuove domande”.

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