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Esistono differenti opinioni sui vantaggi e gli svantaggi dell’introduzione di un salario minimo legale, ovvero di una retribuzione minima oraria che i datori di lavoro devono corrispondere per legge ai propri dipendenti. I sostenitori del salario minimo affermano che esso contribuisce all’incremento del tenore di vita dei lavoratori, riducendo il numero di essi che versano in uno stato di povertà e favorendo la riduzione delle disuguaglianze sociali. Gli oppositori evidenziano soprattutto che il salario minimo aumenta la disoccupazione ed alza i costi per le imprese, impattando negativamente su competitività e crescita economica. Chi ha ragione? Di fatto entrambi! Cerchiamo di spiegare in maniera semplice perché.

Il prezzo e la quantità di un bene liberamente negoziabile sul mercato sono soggetti alla legge della domanda e dell’offerta. Ovvero, il prezzo e la quantità scambiata di un bene dipendono dall’incrocio delle cosiddette curve di domanda e di offerta, che descrivono le quantità che i venditori ed i compratori desiderano vendere o acquistare di quel bene a un dato prezzo. Anche il lavoro, per quanto abbia le sue peculiarità, è assimilabile a un qualunque altro bene: i lavoratori lo offrono e le aziende lo domandano. Su un mercato del lavoro libero la quantità di lavoro offerta dai lavoratori sarà tanto maggiore quanto maggiore è il livello del salario. Dal canto loro, le imprese tenderanno a domandare più lavoro al diminuire dei salari. La quantità di lavoro “scambiato” ed il suo prezzo corrisponderà al punto in cui le curve di offerta di lavoro dei lavoratori e di domanda delle imprese si incrociano. Il grafico sotto descrive questa situazione in cui sull’asse orizzontale delle ascisse abbiamo il livello di occupazione di equilibrio e su quello verticale delle ordinate il salario di equilibrio.

Ipotizziamo ora che si decida di introdurre un salario orario minimo che non consenta di concludere contratti di lavoro al di sotto di un determinato prezzo. Cosa accadrebbe? Se il livello stabilito per legge è superiore al livello di equilibrio del mercato, a quel prezzo vi sarà una minore quantità di lavoro domandata dalla imprese rispetto a quella offerta dai lavoratori e la quantità di lavoro scambiata (ovvero il livello di occupazione) tenderà a essere più basso (vedi il grafico sotto). Di fatto non avremmo lavoratori sottopagati, ma il numero di occupati si ridurrebbe.

Il grafico appena illustrato, pur rappresentando una visione estremamente semplificata del mercato del lavoro, evidenzia come sia i sostenitori che i detrattori del salario minimo abbiano le loro ragioni: la sua introduzione migliora i livelli di salario, soprattutto per i lavoratori meno qualificati ed esperti che sono a maggior rischio di sfruttamento, ma allo stesso tempo incrementa i livelli di disoccupazione proprio in queste categorie di lavoratori, perché rende meno conveniente per le aziende assumerli.

In realtà, la regolamentazione dei salari è argomento assai complesso in quanto non è detto che questa debba essere effettuata necessariamente per legge (come peraltro avviene nella maggior parte dei Paesi europei), ma può anche essere demandata alla contrattazione collettiva (come avviene attualmente in Italia). Inoltre, occorre ricordare che non necessariamente un limite legale deve essere identico per tutti i settori economici o le aree geografiche. Quelle innanzi sono solo considerazioni di base che provengono dalla teoria economica, ma è poi la politica che deve decidere quale siano le priorità per migliorare le condizioni dei cittadini e dei lavoratori, se siano i livelli occupazionali o i livelli minimi salariali, ed il modo di perseguire gli obiettivi fissati. Come è stato efficacemente detto: “quando un economista cerca di spiegare il mondo è uno scienziato, ma quando cerca di migliorarlo, diventa un politico”.