In settimana è arrivata l’approvazione da parte della Commissione europea del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano contenente i programmi di spesa dei fondi del c.d. recovery fund. Si tratta di una cifra enorme pari a circa 200 miliardi di euro che andrà spesa al meglio nei prossimi anni. Infatti, sebbene il 40% circa dei fondi europei sarà a fondo perduto, la parte restante andrà restituita. Dunque, se con gli interventi programmati non si dovesse riuscire ad aumentare la futura capacità di rimborso del nostro Paese, il rischio di diventare insolventi crescerà. Ma a quali condizioni il debito pubblico dell’Italia potrebbe diventare insostenibile? Cerchiamo di rispondere in parole semplici ad una domanda tanto complessa quanto importante.
In un certo senso il debito pubblico non è tanto diverso da quello privato: entrambi hanno origine da una situazione nella quale le spese sostenute sono superiori al reddito, ovvero quando si ha un deficit di bilancio. Per finanziare tale deficit è possibile chiedere un prestito. L’accumulazione nel tempo di tali prestiti rappresenta il debito pubblico totale. Negli ultimi 40 anni si è assistito ad una forte crescita del debito pubblico italiano e la recente crisi pandemica ha accelerato questo fenomeno portandolo alla strabiliante cifra di circa 2.600 miliardi di euro. Fino a che punto la crescita del debito è sostenibile?
In realtà, l’ammontare di debito in sé non è un indice della sua sostenibilità. Semplificando al massimo il concetto, una persona potrebbe avere un debito di soli 100 euro verso un’altra persona, ma non avere risorse sufficienti a ripagarlo, oppure potrebbe avere un debito 100.000 euro e riuscire a ripagarlo senza alcun problema. La vera differenza la fa il reddito del debitore: quanto più esso è elevato in rapporto al debito, tanto maggiore sarà la sua capacità di rimborsarlo regolarmente. Ecco spiegato il motivo per il quale il debito pubblico è generalmente rapportato al PIL (Prodotto Interno Lordo) che rappresenta appunto la ricchezza generata all’interno di uno Stato. Infatti, si parla sempre di rapporto Debito/Pil, ovvero del rapporto fra debito e ricchezza prodotta, piuttosto che dell’ammontare assoluto del debito. Infine, occorre introdurre un’ultima variabile: il tasso di interesse da corrispondere sul debito. Quanto più il tasso è elevato tanto più sarà “faticoso” ripagare il debito, in quanto esso risulterà accresciuto da maggiori interessi (così come sanno tutti coloro che hanno sottoscritto un mutuo a tasso variabile in un periodo di rialzo dei tassi). Dunque, ecco riassunte le principali variabili per valutare la sostenibilità del debito pubblico:
– Il rapporto debito/PIL (il debito complessivo rapportato al Pil);
– Il saldo primario/PIL (la differenza tra entrate ed uscite delle Stato al netto della spesa per interessi rapportata al PIL);
– Il tasso di crescita reale del PIL (ovvero al netto dell’inflazione);
– Il tasso di interesse reale pagato sul debito (ovvero al netto dell’inflazione).
In sostanza, il debito pubblico risulta essere sostenibile quando il tasso di crescita del PIL reale è maggiore del tasso d’interesse reale sul debito, determinando una riduzione progressiva del rapporto Debito/PIL. Al contrario, se il costo medio del debito risulta essere maggiore del tasso di crescita del PIL reale, il rapporto Debito/PIL aumenta. Se tale situazione dovesse perdurare, potrebbe essere compromessa la capacità di rimborso. Un processo che potrebbe aggravarsi nel caso in cui i creditori, per il timore di non essere pagati in futuro, dovessero alzare la remunerazione richiesta per compensare il maggiore rischio di insolvenza.
Il grafico sotto confronta tasso di crescita reale del PIL, tasso di interesse reale sul debito pubblico e tasso di inflazione negli ultimi 60 anni in Italia. Dal grafico si può osservare che, sebbene molti risparmiatori ricordino con nostalgia gli anni Settanta ed i primi anni Ottanta per i “lauti” interessi percepiti sui titoli di Stato, in realtà dal 1970 al 1983 il tasso di interesse pagato dallo Stato al netto dell’inflazione è stato negativo! Tutt’altro che un buon affare per i cittadini creditori. Inoltre, negli ultimi 20 anni, i tassi di crescita del PIL mediamente bassi hanno comportato un livello di crescita reale inferiore al tasso reale di interesse pagato sul debito. Fortunatamente il consistente abbassamento dei tassi negli ultimi anni ha attenuato il problema.
Una grande sfida attende il nostro paese. Di fronte ad un debito pubblico che crescerà rapidamente nei prossimi anni, l’unica strada percorribile, visti i già elevati livelli di tassazione che escludono la possibilità di risanare il bilancio pubblico con ulteriori aggravi di imposta, passa dalla crescita e dalla credibilità dei progetti per il futuro del paese. Se le spese pubbliche saranno orientate verso impieghi capaci di produrre maggiore ricchezza in futuro, assisteremo ad elevati tassi di crescita del PIL ed a mercati che chiederanno tassi di interessi moderati al nostro paese. In caso contrario, livelli di crescita bassi e spread crescenti potrebbero condannarci all’impossibilità di ripagare il debito. In futuro i tassi di interesse probabilmente tenderanno a tornare verso livelli più vicini alla media storica e per allora il tasso di crescita del PIL non potrà continuare a viaggiare a livelli medi inferiori all’1% come è stato negli ultimi anni, pena l’impossibilità di ripagare i debiti attuali e quelli futuri. Spendere bene i fondi del recovery fund è una scelta obbligata per il nostro Paese.

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