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Uno spettro si aggira sulla società e sull’economia italiana: se non verrà deviata la tendenza demografica attuale, nel 2050 l’Italia avrà 5 milioni di abitanti in meno, ma soprattutto molti meno giovani di quelli necessari a garantire adeguati livelli di prosperità al nostro Paese.

La tendenza attuale vede un tasso di fecondità pari ad 1,24 figli per donna che attualmente determina circa 400.000 nascite annue, destinate a ridursi progressivamente sotto le 300.000 nel corso di un trentennio. Solo elevando il tasso di fecondità oltre l’1,75 figli per donna nel giro di un decennio, potremmo raggiungere un numero di circa 500.000 nascite annue in grado di invertire la tendenza alla diminuzione della popolazione. Per comprendere quanto questi numeri siano preoccupanti, si pensi che a metà degli anni Settanta le nascite annue ammontavano a circa 700.000 ed all’inizio dello scorso decennio ad oltre 500.000.

Il grafico sotto illustra come si sta evolvendo la cosiddetta piramide demografica, ovvero la distribuzione per fasce di età della popolazione italiana. La forma a piramide è tipica di una popolazione con molti giovani ed un numero di persone sempre minore al crescere delle fasce di età. Negli ultimi decenni l’allungamento della vita media, insieme alla contestuale riduzione delle nascite, sta trasformando la forma a piramide (da cui prende il nome il grafico) in una che ricorda maggiormente una “cassa da morto”, inquietante presagio del nostro futuro.

Se il trend non dovesse cambiare, siamo condannati ad assistere prima ad un crollo del PIL e poi a quello del welfare state e dei suoi elevati livelli di assistenza ai cittadini.

Perché è così importante un’adeguata crescita demografica per garantire la crescita economica ed il benessere sociale? Non è forse meglio avere meno “bocche da sfamare”? Per comprenderlo è sufficiente fornire pochi numeri. Con cinque milioni di italiani in meno nel giro di una generazione, il numero complessivo degli abitanti scenderebbe sotto i 55 milioni, ma soprattutto avremmo un numero di persone in età lavorativa (fra i 20 ed i 66 anni) pari a circa il 50% dell’intera popolazione. Questa quota finirebbe per dover provvedere sia alla cura ed alla formazione delle persone sotto i vent’anni che all’assistenza della quota di popolazione più anziana (circa 1/3 del totale), sempre più vecchia grazie all’allungamento dell’aspettativa di vita e quindi bisognosa di assistenza. Anche se la gran parte dei cittadini in età lavorativa fosse realmente impiegata in attività lavorative (l’area colorata in rosso del grafico in alto), sarebbe evidente la difficoltà per questa quota della popolazione di garantire adeguati livelli di benessere anche a tutti gli altri. Infatti, sono coloro che lavorano a consentire di mantenere la restante parte della popolazione, direttamente o indirettamente attraverso i tributi che finanziano la spesa pubblica ed il sistema pensionistico. Insomma, con la tendenza attuale delle nascite sarebbe impossibile garantire il welfare state a cui ci siamo abituati nell’ultimo mezzo secolo. Tutto ciò senza considerare anche l’apporto in termini di dinamismo e propensione all’innovazione che le nuove generazioni danno alla società ed all’economia.

Dunque, con questo trend delle nascite il rapporto fra popolazione inattiva rispetto alla popolazione in età attiva andrebbe ad indebolirsi in maniera irreversibile. Occorre riflettere attentamente su come è possibile rialzare il tasso di fecondità in modo tale che si possa arrivare nel giro di un decennio al livello auspicabile di 500.000 nascite annue. Servono politiche solide e ben mirate, finanziate da risorse adeguate, in grado di favorire la natalità e consentire un miglioramento del rapporto fra lavoro e progetti di vita. Occorre agire subito in quanto non è facile invertire rapidamente le tendenze di crescita della popolazione. È in gioco il nostro benessere economico futuro, molto più di quanto si possa immaginare.

Riusciremo ad invertire la rotta prima che sia troppo tardi superando la trappola demografica attuale? Rispondere positivamente a questa domanda è essenziale poiché, come ha recentemente sottolineato anche Papa Francesco, “il tema della natalità rappresenta una vera e propria emergenza sociale. Significa impoverire il futuro di tutti”.