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Mentre l’azionario Usa segna nuovi massimi e le borse di tutto il mondo continuano a crescere dopo i minimi di marzo 2020, molti investitori si chiedono se i valori di borsa non siano cresciuti troppo e sia arrivato il momento di prediligere scelte più prudenti, anche in considerazione dei rischi di un nuovo parziale rallentamento della crescita legato alla diffusione della cosiddetta variante Delta ed al rallentamento del ritmo delle vaccinazioni in alcuni stati. Ma le borse sono care o addirittura in bolla? Quali sono i possibili indicatori da prendere in considerazione per valutare la “costosità” delle azioni?

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Il grafico sopra mostra il forte recupero che hanno realizzato le borse mondiali e la forza relativa di Wall Street, il cui listino azionario ha realizzato, grazie anche ai colossi della tecnologia mondiale, una performance superiore al 50% negli ultimi 3 anni. Più indietro i listini europei, che segnano comunque una crescita del 20% in 3 anni. Vendere azioni semplicemente perché sono salite, così come comprarle semplicemente perché sono scese, non necessariamente è la scelta più razionale, in quanto esistono degli indicatori che è possibile considerare per valutare se i prezzi di mercato sono equi o almeno ragionevoli. Vediamo quelli più semplici.

Poiché ad ogni azione corrisponde un’impresa che svolge un’attività finalizzata a realizzare un profitto, è proprio dai profitti attesi che occorre partire per valutare quanto sto pagando un’azienda nel momento in cui acquisto un suo titolo azionario in borsa. L’indicatore più semplice e diffuso è il Price/Earning (P/E), ovvero il rapporto fra il prezzo di un’azione e l’utile ad essa collegato: ad esempio, se è uguale a 15 vuol dire che pago un’azienda 15 volte gli utili che essa realizza. Quanto più questo valore è alto tanto più sto pagando a caro prezzo quel titolo, quanto più è basso tanto più esso è conveniente. Riprendendo l’esempio di prima, un valore di 16 risulterebbe meno “conveniente”, uno di 14 più “conveniente”. È il mercato che di volta in volta stabilisce i valori (i c.d. multipli) adeguati in base al contesto. In questo momento il rapporto prezzo/utili della principale borsa mondiale, quella americana, è pari a 23 rispetto ad una media storica di circa 16,5. Quindi, oggi la borsa americana è certamente cara se considerata rispetto ai valori storici, ovvero a quanto gli investitori sono stati mediamente disposti a pagare le imprese quotate rispetto agli utili che producevano.

Valutare semplicemente il rapporto prezzo/utili non è però sufficiente. Infatti, gli investitori effettuano le loro scelte di investimento anche in relazione alle alternative disponibili: se non esistono alternative di investimento valide o a buon mercato, potrebbero essere disposti a pagare di più per l’unica alternativa economicamente profittevole. Per gli investitori in azioni, la principale alternativa è investire in obbligazioni quali i titoli emessi dallo Stato del mercato azionario di riferimento. Per il mercato americano i titoli di stato americani a lungo termine (i c.d. Treasury) rappresentano la principale alternativa all’investimento in azioni. Dunque, è opportuno confrontare il rendimento dei tassi dei titoli di stato americani con il rendimento delle azioni che si ricava calcolando il c.d. earning yield (che si ottiene dividendo gli utili per il prezzo delle azioni, ovvero calcolando l’inverso del rapporto prezzo/utili di cui si diceva innanzi). Ad esempio, ipotizzando un rapporto prezzo utile pari a 20, abbiamo un earning yield pari a 5% (1/20 x 100). Un tasso di rendimento pari al 5% per le azioni è certamente più basso rispetto alla media storica, ma oggi gli investitori in titoli di stato americani a 10 anni possono contare su rendimenti pari ad appena l’1,5%.

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Come è possibile osservare dal grafico sopra, se è certamente vero che Wall Street è cara in termini assoluti rispetto alla media storica, non lo è altrettanto se consideriamo che al momento non vi sono alternative redditizie nel mondo delle obbligazioni statali. Inoltre, se gli utili delle aziende dovessero ulteriormente crescere a seguito della prospettata ripresa economica, il rapporto prezzo/utili potrebbe ulteriormente ridursi riportandosi più vicino alla media storica.

Tutto ciò resta valido se il contesto non muterà radicalmente. Ad esempio, se un’inflazione molto elevata dovesse spingere in alto i rendimenti dei titoli di stato, gli investitori potrebbero rivedere i calcoli di convenienza e vendere azioni in quanto esse diverrebbero relativamente meno convenienti rispetto ai titoli di stato. Ecco il motivo per il quale i mercati sono molto attenti alle previsioni sull’andamento dei prezzi di beni e servizi. Dunque, occorre sempre restare prudenti quando si effettuano scelte di investimento, prediligere portafogli diversificati e non dimenticare di costruire, con l’aiuto del proprio consulente, portafogli coerenti con il proprio orizzonte temporale e la propria propensione al rischio, poiché è molto difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro!