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La scorsa settimana, nell’ambito del Decreto Aiuti Bis, è stata approvata una temporanea riduzione del cuneo fiscale, oltre a quella già inserita nella legge “finanziaria” dello scorso anno, che comporterà un incremento degli stipendi netti percepiti da alcuni lavoratori dipendenti fino al termine di quest’anno. In realtà, in Italia si discute ormai da anni della necessità di ridurre il cuneo fiscale. Chi è interessato dal recente provvedimento e con quali benefici? Ma soprattutto, qual è il significato in parole semplici del cuneo fiscale e quali effetti può avere una sua riduzione strutturale per famiglie ed imprese? Come si colloca l’Italia nel confronto internazionale?

 

Cos’è il cuneo fiscale e a quanto ammonta in Italia e all’estero?

Per cuneo fiscale si intende la differenza media fra il costo totale sostenuto da un’impresa per un lavoratore e la sua retribuzione netta. Infatti, sul costo totale di un lavoratore incidono le imposte ed i contributi previdenziali, sia a carico dei dipendenti che dei datori di lavoro. Solitamente il cuneo fiscale è espresso in percentuale del salario lordo: ad esempio, un cuneo fiscale del 40% indica che ogni 100 euro di costo totale lordo di un lavoratore, una volta detratte imposte e contributi previdenziali, ne restato 60 netti in tasca al lavoratore.

Il cuneo fiscale varia notevolmente nel mondo. A quanto ammonta in Italia e come si colloca in nostro Paese nel confronto internazionale? Secondo i dati del recente rapporto dell’Ocse (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo Economico) intitolato Taxing Wages 2022, il cuneo fiscale nel nostro Paese ha un valore pari al 46,5% per un singolo lavoratore medio. Si tratta di una percentuale molto più alta della media dei Paesi Ocse, pari al 34,6%, che ci posiziona al quinto posto nella classifica generale che vede in testa il  Belgio (52,6%), seguito dalla Germania (48,1%) (si veda il grafico sotto che evidenzia il confronto internazionale).

Dunque, in Italia la retribuzione netta in tasca al lavoratore è pari a circa il 54% del costo complessivo per l’impresa, mentre circa il 46% è rappresentato dal cuneo fiscale. Poco più della metà di tale percentuale è rappresentato dai contributi a carico dell’impresa e la restate parte è rappresentata dai contributi a carico dei lavoratori e dalle tasse nelle percentuali indicate nel grafico sotto.

Un cuneo fiscale più contenuto può consentire ai lavoratori di beneficiare di un incremento delle retribuzioni nette a parità di costo per le imprese, ma potrebbe anche significare una riduzione del costo del lavoro per le imprese a parità di salario netto per i lavoratori. Dunque, se ridurre il cuneo fiscale comporta indubbi vantaggi sia per i lavoratori che per le imprese, tale obiettivo comporta anche la necessità di scegliere chi far beneficiare di tale riduzione: solo i lavoratori, solo le imprese o entrambi ed in che percentuale? Una riduzione a vantaggio dei lavoratori comporta un incremento del loro reddito disponibile e conseguentemente della loro capacità di spesa, mentre una riduzione a vantaggio delle imprese renderebbe le stesse più competitive diminuendo il costo complessivo di produzione. Si tratta di una scelta politicamente complessa e dall’impatto economico differenziato a seconda dell’opzione scelta. In tutti i casi occorre ricordare che ridurre il cuneo fiscale vuol dire anche ridurre le entrate tributarie pubbliche e/o i contributi previdenziali, con tutto ciò che questo comporta.

 

A quanto ammontata il recente taglio del cuneo fiscale e chi ne beneficerà?

Il recente intervento governativo a cui si è accennato innanzi, prevede una riduzione del cuneo fiscale dell’1,2% per tutti i lavoratori dipendenti con redditi fino a 35.000 euro lordi ed ha una durata che va dal 1° luglio 2022 al 31 dicembre 2022. L’impatto complessivo stimato è pari ad un incremento delle retribuzioni mensili da 6 a 26 euro a seconda del reddito lordo percepito, con un onere per la finanza pubblica stimato in 1,2 miliardi di euro. Dunque, si tratta di una riduzione temporanea e limitata ai soli lavoratori dipendenti con redditi medi e bassi, mentre nessuna riduzione è prevista a vantaggio delle imprese. Infatti, l’obiettivo principale del provvedimento è quello di incrementare il reddito disponibile dei lavoratori per compensare almeno parzialmente il forte incremento dei prezzi al quale si è assistito negli ultimi mesi. Si tratta di una misura di emergenza, ma il tema meriterebbe un approccio più strutturale.

Ridurre il cuneo fiscale dovrebbe essere una priorità per l’Italia della quale potrebbe beneficiare l’intero sistema produttivo, con vantaggi sia per le imprese, che potrebbero veder crescere la loro competitività con un alleggerimento del costo del lavoro, ma anche per i lavoratori che potrebbero incrementare i consumi a fronte di redditi più elevati, con un ulteriore impatto positivo indiretto sull’economia. Si tratta però di capire come finanziare tale taglio che, come si può notare dalle cifre innanzi, è molto oneroso per la finanza pubblica.

 

Quali strategie sono ipotizzabili per ridurre stabilmente il cuneo fiscale in Italia?

È possibile ipotizzare un’altra strada per perseguire una riduzione ambiziosa del cuneo fiscale compatibile con le esigenze di finanza pubblica? La Germania, ad esempio, pur avendo un cuneo fiscale superiore al nostro, può contare su un’elevata competitività dei suoi prodotti anche a livello internazionale ed allo stesso tempo su un tenore di vita mediamente soddisfacente per i suoi lavoratori, che possono contare su redditi ben più elevati di quelli medi di un lavoratore italiano. Il quesito chiave è forse proprio questo: come garantire redditi più elevati ed allo stesso tempo la competitività delle imprese che quei lavoratori utilizzano. Secondo molti economisti non vi è altra strada che concentrarsi sull’incremento della produttività. Infatti, solo una produttività del lavoro più elevata consente di incrementare le remunerazioni lorde dei lavoratori senza impattare sulla competitività delle imprese e senza penalizzare il gettito fiscale. Secondo la teoria economica, per impattare positivamente sulla produttività delle imprese e del lavoro occorre concentrarsi su pochi fattori chiave: incrementare gli investimenti in macchinari ed attrezzature, favorire la ricerca e lo sviluppo tecnologico, migliorare le competenze dei lavoratori, ovvero la qualità del capitale umano. Sono tutti fattori sui quali è difficile incidere nel breve termine, ma sono gli unici che nel lungo periodo possono consentire il raggiungimento dell’obiettivo di migliorare la condizione economica complessiva di un Paese. L’augurio è che la prossima campagna elettorale, e soprattutto il prossimo Governo, possano finalmente mettere al centro dell’agenda politica questi temi. Sarà davvero così?